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Disturbi del neuro-sviluppo: dalla genetica all'epigenetica
Prof. Ernesto Burgio - Medico Pediatra, esperto di epigenetica e biologia molecolare. Membro di importanti istituti e società scientifiche, tra cui: ECERI - Istituto Europeo di Ricerca su Cancro e Ambiente (Bruxelles); ARTAC - Associazione di Ricerca per Terapie Anticancro (Parigi).
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Abstract
Negli ultimi dieci anni le conoscenze nel campo della biologia molecolare, della genomica, della biologia evoluzionistica sono enormemente aumentate e si va delineando un modello assolutamente nuovo di genoma dinamico e interattivo con l’ambiente. Se per quasi mezzo secolo si era pensato al DNA come a un semplice «serbatoio di informazioni», frutto di milioni di anni di evoluzione molecolare e quasi immutabile nel tempo e alle altre componenti della cromatina e in particolare agli istoni (le proteine attorno alle quali il DNA è super-avvolto, per poter essere contenuto in un nucleo di pochi micron di diametro) come ad una semplice struttura portante ancora più stabile (conservata per centinaia di milioni di anni) e semplicemente deputata a garantire le migliori modalità di esposizione del DNA (cioè dei «geni»), negli ultimi anni ci si è resi conto che l’intero genoma andrebbe rappresentato piuttosto come un network molecolare complesso e dinamico, in continua interazione con l’ambiente e che quest’ultimo andrebbe considerato come una fonte di informazioni - molecole chimiche, ioni metallici, radiazioni ionizzanti e non – che interagiscono con la componente più fluida del genoma stesso, l’epigenoma, inducendola continuamente a trasformarsi e a riposizionarsi, per rispondere nel modo più efficace alle sollecitazioni. In una tale rappresentazione dinamica e sistemica, la struttura tridimensionale della cromatina verrebbe a configurarsi come un complesso molecolare intimamente reattivo: le stesse modifiche genomiche e cromosomiche, andrebbero interpretate in questa luce e le mutazioni, tradizionalmente interpretate come stocastiche, verrebbero a configurarsi, almeno in parte, come modifiche attive/difensive a carico dapprima dell’epigenoma (e della cromatina nel suo assetto tridimensionale) e in un secondo tempo della stessa sequenza-base del DNA. E le patologie croniche (degenerative, infiammatorie, neoplastiche) più che come effetti di mutazioni stocastiche o di polimorfismi del DNA, sarebbero da interpretare come il prodotto di un lungo processo reattivo-adattivo iniziato in utero o addirittura nelle cellule germinali.
La vita non è mai statica e non opera per percorsi lineari: è un perpetuo divenire, trasformarsi, adattarsi. E questo ad ogni livello: ecosistemi, organismi complessi, microrganismi, cellule e persino molecole. Una prerogativa fondamentale di questi insiemi straordinariamente complessi è di reagire in modo sistemico alle sollecitazioni/informazioni provenienti dall’ambiente: per adattarsi ad esse e trasformarsi di conseguenza. In una parola per evolvere. Fondamentali sono a questo fine i sistemi di memoria, attraverso i quali le informazioni ricevute vengono conservate e rielaborate: a livello cellulare sono le biomolecole complesse (RNA, DNA e, in certa misura, proteine) a svolgere, da miliardi di anni, questo compito fondamentale. A livello di organismi complessi i principali apparati dotati di memoria sono il sistema immunocompetente adattativo e il sistema nervoso centrale: oggi si dovrebbe piuttosto parlare di “sistema psico-neuro-immuno-endocrino” a sottolineare la fondamentale unitarietà dell’intero complesso. Con l’evolvere degli organismi si assiste ad una progressiva concentrazione dei sistemi di memoria in gangli via, via più complessi concentrati in zona cefalica. Il cervello umano rappresenta lo stadio più avanzato di questo processo e la struttura più complessa dell’universo a noi noto. Nel contesto della biologia dello sviluppo (developmental biology) la sua costruzione è oggi considerata un processo in parte geneticamente predeterminato e controllato, in parte epigeneticamente modulato: semplificando al massimo potremmo dire che le strutture anatomo-fisiologiche fondamentali (hardware) sono specie-specifiche e programmate nel DNA, mentre le interconnessioni interneuronali che compongono la corteccia e sono, in ultima analisi la vera sede della memoria individuale e quindi dell’”io” neuro-psichico (software) sono epigeneticamente modellate in risposta alle informazioni provenienti dall’ambiente e, quindi, in continua trasformazione “auto-poietica” per tutta la vita (anche se con plasticità progressivamente ridotta). Questo modello sistemico, autopoietico e, almeno in parte, istruttivo (lamarckiano) oltre che selettivo (neodarwiniano) vale probabilmente per ogni sistema mnemonico e in particolare per la costruzione dei genomi e dei sistemi psiconeuroimmunoendocrini.
Le neuroscienze dello sviluppo studiano le modalità di formazione del sistema nervoso, dai primi stadi dell’ontogenesi embrio-fetale fino all'età adulta. Anche se è noto che le cellule progenitrici neurali seguono fasi prevedibili di proliferazione, differenziazione, migrazione e maturazione nella misura in cui il processo è geneticamente programmato, negli ultimi anni si vanno chiarendo i meccanismi molecolari (in ultima analisi epigenetici) che lo controllano e in particolare il ruolo chiave delle informazioni provenienti dall’ambiente. Lo studio sempre più approfondito di questi fenomeni non è importante soltanto per capire come si vadano assemblando strutture di enorme complessità, ma anche per una miglior caratterizzazione dei disturbi del neurosviluppo, che sono in grande aumento in tutto il mondo; per la ricerca dei principali fattori implicati in questo aumento; per migliorare le nostre capacità di prevenzione primaria, diagnostica precoce, follow up e trattamento. Che la diffusione in ambiente e biosfera di molecole mimetiche, pesticidi, metalli pesanti ed altri inquinanti in grado di interferire negativamente sullo sviluppo neuro-endocrino dell’embrione, del feto e del bambino rischi di produrre danni gravissimi è un dato che emerge da decine di studi scientifici. Nel novembre del 2006 un articolo pubblicato su The Lancet a firma di un pediatra e di un epidemiologo della Harvard School of Pubblic Health ha posto con forza il problema di una possibile “pandemia silenziosa” di danni neuro-psichici che si starebbe diffondendo, nell’indifferenza generale, interessando il 10% dei bambini del cosiddetto I mondo. Si tratta di un problema di grande portata, che alcuni ricercatori avevano segnalato già nei primi anni ’60, ma che è divenuto drammaticamente attuale se è vero che, da un lato, numerosi studi condotti in Europa e USA hanno rilevato la presenza di centinaia di molecole chimiche di sintesi, molte delle quali estremamente neuro-tossiche (mercurio e metalli pesanti in genere, ritardanti di fiamma, pesticidi, PCBs e altri perturbatori endocrini) in placenta, nel sangue cordonale e nel latte materno e che, d’altro canto, è in atto in tutto il Nord del mondo un incremento drammatico di patologie del neurosviluppo (con un incremento di prevalenza da 1:1200 a 1:88 in tre decenni, per ciò che concerne le patologie dello spettro autistico), e neurodegenerative (in particolare malattia di Alzheimer e morbo di Parkinson) alla cui origine questa esposizione embrio-fetale potrebbe non essere estranea.