Abstract
Tutte le grandi tradizioni sapienziali ci dicono che senza consapevolezza della morte non c’è consapevolezza della vita. Ci siamo completamente dimenticati di quest’arte, eppure gli studi scientifici più approfonditi confermano che ignorare la morte non ne allontana l’angoscia, ma semmai ne aumenta il terrore. Le provocazioni di sapienti e profeti, di santi e di filosofi antichi, ci insegnano a non dimenticare la morte, per imparare ad amare la vita fino in fondo, e così alla fine forse scoprire che la morte non esiste: esiste solo vita. Citando i maestri della filosofia possiamo affermare che la meditazione della morte non è fonte di tristezza, ma di gioia. Avere sperimentato l’immortalità della parte più preziosa di sé, come insegnano gli antichi filosofi greci, toglie al filosofo la paura di morire. Per gli epicurei il pensiero della morte rende più prezioso l’istante e carica di meraviglia i singoli momenti della vita; per gli stoici, l’eroico esercizio della morte procura la vera libertà. La meditazione quotidiana della morte relativizza tutte le preoccupazioni, i mali del corpo, i problemi e le esigenze personali, e conduce ad una visione universale.
La coscienza della morte rende eticamente consapevoli di ogni atto. Inoltre la coscienza della propria debolezza e della propria mortalità è la condizione della capacità di provare compassione. La solidarietà sgorga anche dalla comprensione della propria fragilità, condivisa dal proprio simile. Se si perde questa percezione è a rischio la cultura del sostegno reciproco e perfino della responsabilità individuale.