Epigenetica e Disturbi del Neuro-Sviluppo
Evento in modalità webinar che si è svolto nei giorni 3 - 4 ottobre 2020
Organizzato da: Istituto di Medicina Naturale - Urbino (dal 1983)
Rivolto principalmente a: medici, biologi, psicologi, fisici, ricercatori, farmacisti, insegnanti, educatori, naturopati, osteopati, operatori sanitari e operatori del benessere.
Conduttori e moderatori: Enrico Zazzaroni e GIno Santini
Contenuti del convegno:
1^ SESSIONE: Dalla genetica all'epigenetica e disturbi minori del neuro-sviluppo
2^ SESSIONE: Stili di vita e disturbi del neuro-sviluppo
3^ SESSIONE: Carenze, inquinanti, microbiota e disturbi del neuro-sviluppo
4^ SESSIONE: Esperienze di dolore e disturbi del neuro-sviluppo
5^ SESSIONE: Tavola rotonda
Scarica gli abstract del convengo e i curricula dei relatori
Abstract e curricula relatori
Apertura convegno e saluto ai partecipanti
Introduzione al 6° Convegno Nazionale di Epigenetica
Prof. Ernesto Burgio - Medico Pediatra, esperto di epigenetica e biologia molecolare. Membro di importanti istituti e società scientifiche, tra cui: ECERI - Istituto Europeo di Ricerca su Cancro e Ambiente (Bruxelles); ARTAC - Associazione di Ricerca per Terapie Anticancro (Parigi).
L’ontogenesi dello sviluppo cognitivo
Prof.ssa Teresa Farroni - Ricercatrice e Professore associato presso il Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell'Università degli Studi di Padova.
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Abstract
Per comprendere la struttura complessa definita ”essere umano” dobbiamo capire il sorgere (l’origine) dei meccanismi che sottostanno alle funzioni cognitive. Studiare non tanto il bambino nel suo sviluppo ma i cambiamenti che avvengono nel corso del tempo ci aiuta a scoprire che esiste un processo bidirezionale tra sviluppo del cervello e modificazione dell’espressione genetica. Come si raggiunge la complessità cognitiva di un individuo? Questa è la vera domanda alla quale i più grandi neuroscienziati cercano di dare risposta, in una complessità enorme fatta di interazione tra geni, cervello, cognizione, comportamento e ambiente, in una continua modificazione dalla nascita a tutto l’arco dello sviluppo. In questo contesto, qualsiasi sviluppo atipico può essere visto come il risultato di un processo che deve essere studiato e compreso a tutti i livelli.
Un disturbo minore del neuro-sviluppo: la balbuzie in età prescolare e scolare-adulta
Dott.ssa Chiara Comastri - Psicologa, specializzata nella rieducazione della balbuzie attraverso il Metodo Psicodizione, da lei stessa ideato.
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Un disturbo minore del neuro-sviluppo - Dott.ssa Comastri
Abstract
La balbuzie evolutiva nel DSM-5 è inserita tra i disturbi del neurosviluppo che si manifestano in età prescolare (APA, 2013). Viene descritta classicamente come un’alterazione della normale fluenza e i sintomi insorgono tipicamente tra i 2 e i 4 anni. Di tutti i bambini che iniziano a sperimentare disfluenze tipiche della balbuzie (SLD), circa l’80% va incontro a remissione spontanea nel primo anno. La persistenza del disturbo nella popolazione mondiale adulta è stimata intorno all’1%, con rapporto M:F di 4:1 (Yairi & Ambrose, 2013).
La balbuzie è associata a morbilità psicosociale in adolescenti e adulti, con progressivo peggioramento della qualità della vita e maggior probabilità di sviluppo di ansia sociale, disturbi dell’umore o di personalità (Perez & Stoeckle, 2016). L’intervento precoce è, quindi, fondamentale e gli studi mostrano che trattare i bambini prima dei sei anni ha una più alta probabilità di recupero persistente e un minor rischio di recidive (Ingham & Cordes, 1998; Koushik, 2009). Resta, purtroppo ancora oggi, moltissima disinformazione sull’argomento e ciò ritarda la possibilità di trattamento peggiorando la prognosi.
L’approccio di Psicodizione sposa il modello multifattoriale che descrive la balbuzie come un problema neurocomportamentale e integra variabili causative fisiologiche, linguistiche, psico- emotive e ambientali (Smith & Weber, 2017). I bambini nascono con una predisposizione, ma è la combinazione di più fattori intrinseci ed estrinseci che spiega esordio, sviluppo e severità del disturbo. Proprio lavorando massicciamente su queste componenti è possibile modificare le strategie di coping disadattivo, costruire nuove competenze e considerazioni che permettono di percepirsi comunicatori efficaci, fino ad arrivare a superare il disturbo.
Disturbi del neuro-sviluppo: dalla genetica all'epigenetica
Prof. Ernesto Burgio - Medico Pediatra, esperto di epigenetica e biologia molecolare. Membro di importanti istituti e società scientifiche, tra cui: ECERI - Istituto Europeo di Ricerca su Cancro e Ambiente (Bruxelles); ARTAC - Associazione di Ricerca per Terapie Anticancro (Parigi).
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Abstract
Negli ultimi dieci anni le conoscenze nel campo della biologia molecolare, della genomica, della biologia evoluzionistica sono enormemente aumentate e si va delineando un modello assolutamente nuovo di genoma dinamico e interattivo con l’ambiente. Se per quasi mezzo secolo si era pensato al DNA come a un semplice «serbatoio di informazioni», frutto di milioni di anni di evoluzione molecolare e quasi immutabile nel tempo e alle altre componenti della cromatina e in particolare agli istoni (le proteine attorno alle quali il DNA è super-avvolto, per poter essere contenuto in un nucleo di pochi micron di diametro) come ad una semplice struttura portante ancora più stabile (conservata per centinaia di milioni di anni) e semplicemente deputata a garantire le migliori modalità di esposizione del DNA (cioè dei «geni»), negli ultimi anni ci si è resi conto che l’intero genoma andrebbe rappresentato piuttosto come un network molecolare complesso e dinamico, in continua interazione con l’ambiente e che quest’ultimo andrebbe considerato come una fonte di informazioni - molecole chimiche, ioni metallici, radiazioni ionizzanti e non – che interagiscono con la componente più fluida del genoma stesso, l’epigenoma, inducendola continuamente a trasformarsi e a riposizionarsi, per rispondere nel modo più efficace alle sollecitazioni. In una tale rappresentazione dinamica e sistemica, la struttura tridimensionale della cromatina verrebbe a configurarsi come un complesso molecolare intimamente reattivo: le stesse modifiche genomiche e cromosomiche, andrebbero interpretate in questa luce e le mutazioni, tradizionalmente interpretate come stocastiche, verrebbero a configurarsi, almeno in parte, come modifiche attive/difensive a carico dapprima dell’epigenoma (e della cromatina nel suo assetto tridimensionale) e in un secondo tempo della stessa sequenza-base del DNA. E le patologie croniche (degenerative, infiammatorie, neoplastiche) più che come effetti di mutazioni stocastiche o di polimorfismi del DNA, sarebbero da interpretare come il prodotto di un lungo processo reattivo-adattivo iniziato in utero o addirittura nelle cellule germinali.
La vita non è mai statica e non opera per percorsi lineari: è un perpetuo divenire, trasformarsi, adattarsi. E questo ad ogni livello: ecosistemi, organismi complessi, microrganismi, cellule e persino molecole. Una prerogativa fondamentale di questi insiemi straordinariamente complessi è di reagire in modo sistemico alle sollecitazioni/informazioni provenienti dall’ambiente: per adattarsi ad esse e trasformarsi di conseguenza. In una parola per evolvere. Fondamentali sono a questo fine i sistemi di memoria, attraverso i quali le informazioni ricevute vengono conservate e rielaborate: a livello cellulare sono le biomolecole complesse (RNA, DNA e, in certa misura, proteine) a svolgere, da miliardi di anni, questo compito fondamentale. A livello di organismi complessi i principali apparati dotati di memoria sono il sistema immunocompetente adattativo e il sistema nervoso centrale: oggi si dovrebbe piuttosto parlare di “sistema psico-neuro-immuno-endocrino” a sottolineare la fondamentale unitarietà dell’intero complesso. Con l’evolvere degli organismi si assiste ad una progressiva concentrazione dei sistemi di memoria in gangli via, via più complessi concentrati in zona cefalica. Il cervello umano rappresenta lo stadio più avanzato di questo processo e la struttura più complessa dell’universo a noi noto. Nel contesto della biologia dello sviluppo (developmental biology) la sua costruzione è oggi considerata un processo in parte geneticamente predeterminato e controllato, in parte epigeneticamente modulato: semplificando al massimo potremmo dire che le strutture anatomo-fisiologiche fondamentali (hardware) sono specie-specifiche e programmate nel DNA, mentre le interconnessioni interneuronali che compongono la corteccia e sono, in ultima analisi la vera sede della memoria individuale e quindi dell’”io” neuro-psichico (software) sono epigeneticamente modellate in risposta alle informazioni provenienti dall’ambiente e, quindi, in continua trasformazione “auto-poietica” per tutta la vita (anche se con plasticità progressivamente ridotta). Questo modello sistemico, autopoietico e, almeno in parte, istruttivo (lamarckiano) oltre che selettivo (neodarwiniano) vale probabilmente per ogni sistema mnemonico e in particolare per la costruzione dei genomi e dei sistemi psiconeuroimmunoendocrini.
Le neuroscienze dello sviluppo studiano le modalità di formazione del sistema nervoso, dai primi stadi dell’ontogenesi embrio-fetale fino all'età adulta. Anche se è noto che le cellule progenitrici neurali seguono fasi prevedibili di proliferazione, differenziazione, migrazione e maturazione nella misura in cui il processo è geneticamente programmato, negli ultimi anni si vanno chiarendo i meccanismi molecolari (in ultima analisi epigenetici) che lo controllano e in particolare il ruolo chiave delle informazioni provenienti dall’ambiente. Lo studio sempre più approfondito di questi fenomeni non è importante soltanto per capire come si vadano assemblando strutture di enorme complessità, ma anche per una miglior caratterizzazione dei disturbi del neurosviluppo, che sono in grande aumento in tutto il mondo; per la ricerca dei principali fattori implicati in questo aumento; per migliorare le nostre capacità di prevenzione primaria, diagnostica precoce, follow up e trattamento. Che la diffusione in ambiente e biosfera di molecole mimetiche, pesticidi, metalli pesanti ed altri inquinanti in grado di interferire negativamente sullo sviluppo neuro-endocrino dell’embrione, del feto e del bambino rischi di produrre danni gravissimi è un dato che emerge da decine di studi scientifici. Nel novembre del 2006 un articolo pubblicato su The Lancet a firma di un pediatra e di un epidemiologo della Harvard School of Pubblic Health ha posto con forza il problema di una possibile “pandemia silenziosa” di danni neuro-psichici che si starebbe diffondendo, nell’indifferenza generale, interessando il 10% dei bambini del cosiddetto I mondo. Si tratta di un problema di grande portata, che alcuni ricercatori avevano segnalato già nei primi anni ’60, ma che è divenuto drammaticamente attuale se è vero che, da un lato, numerosi studi condotti in Europa e USA hanno rilevato la presenza di centinaia di molecole chimiche di sintesi, molte delle quali estremamente neuro-tossiche (mercurio e metalli pesanti in genere, ritardanti di fiamma, pesticidi, PCBs e altri perturbatori endocrini) in placenta, nel sangue cordonale e nel latte materno e che, d’altro canto, è in atto in tutto il Nord del mondo un incremento drammatico di patologie del neurosviluppo (con un incremento di prevalenza da 1:1200 a 1:88 in tre decenni, per ciò che concerne le patologie dello spettro autistico), e neurodegenerative (in particolare malattia di Alzheimer e morbo di Parkinson) alla cui origine questa esposizione embrio-fetale potrebbe non essere estranea.
La prevenzione primaria in gravidanza dei disturbi del neurosviluppo
Dott.ssa Paola Marina Risi - Medico. Specialista in ostetricia e ginecologia, esperta di PNEI e Medicina Integrata, consulente del Dipartimento di Neuroscienze Sociali dell’Istituto Superiore di Sanità.
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Abstract
Il drammatico aumento dei disturbi del neuro sviluppo reclama l’urgenza di un cambiamento di paradigma sulle cause di tali disturbi. È cruciale lo studio dei meccanismi epigenetici che determinano la programmazione fetale (fetal programming); in realtà, dovremmo partire ancora più a monte e cioè dalla valutazione dell’esposoma non solo materno, ma anche paterno. In tutte le culture e tradizioni mediche è stata data particolare attenzione alla cura del corpo (alimentazione, riposo adeguato, igiene personale, attività fisica moderata e costante) e della psiche della donna durante la gravidanza.
Proteggere la futura madre da emozioni violente ed esposizione a stressors di vario genere gioca un ruolo decisivo per l’espressione della massima potenzialità del nascituro, ma queste sagge regole sembrano essere state completamente spazzate via dall’illusione di una ostetricia tecnologica. I risultati dell’esposizione allo stress cronico e della scarsa attenzione alla qualità dell’alimentazione in gravidanza, associati alla massiccia presenza di distruttori endocrini nella catena alimentare e all’inquinamento atmosferico, possono rendere ragione dell’aumento esponenziale dei disturbi del neuro sviluppo.
Alimentazione nel neonato e nel lattante e disturbi del neurosviluppo
Dott.ssa Eleonora Lombardi Mistura - Pediatra di Famiglia, docente di medicina fisiologica di regolazione, socio SIPNEI - Società Italiana di PNEI.
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Abstract
I Disturbi del Neurosviluppo Infantile sono quadri clinici neurologici caratterizzati da grande comorbilità con comparsa nei primi anni di vita. Le loro radici sono profonde e la loro eziologia a probabile partenza già dal grembo materno. L'attenzione della comunità scientifica da anni studia la correlazione tra infiammazione sistemica cronica e neuro-infiammazione come trigger scatenante di questi disturbi.
Il microbiota intestinale sembra essere un protagonista centrale nella modulazione dell'infiammazione sistemica e cerebrale. La nutrizione del neonato (prime 4 settimane di vita) e del lattante (1°anno di vita) in quest'ottica diviene centrale per lo sviluppo di un microbiota intestinale sano, per un corretto cross-talk tra intestino e cervello. Il latte materno viene oggi studiato non solo per le sue proprietà nutrizionali ma anche per le sue capacità epigenetiche e modulatorie del sistema immunitario; viene riconosciuto come alimento in grado di ridurre la probabilità di sviluppo di patologie croniche e quindi come valida profilassi nei confronti dei Disturbi del Neurosviluppo infantile. Sembra inoltre che la ossitocina, prodotta in grande quantità nell'allattamento al seno, sia in grado di far sviluppare nella maniera corretta il cervello del bambino indicando che il “bonding” tra madre e figlio agisce potentemente come stimolo per il Sistema Nervoso Centrale per il neonato e per il lattante. Importante si rivela anche il periodo della introduzione della alimentazione complementare sia nei tempi (non deve essere troppo precoce), sia nella scelta delle materie prime da offrire al bimbo (le fibre solubili e gli acidi grassi insaturi a lunga catena per esempio sono fondamentali). Attenzione molto alta deve essere tenuta nei confronti dei coloranti e dei metalli pesanti che possono essere contenuti negli alimenti e danneggiare profondamente lo sviluppo neurologico del bambino nel primo anno di vita.
Autismo, alimentazione e microbiota intestinale
Dott. Maurizio Conte - Medico. Pediatra con approccio integrato, omeopata costituzionalista. Socio ISDE Italia (Associazione Medici per l’Ambiente). Socio SIPNEI - Società Italiana di Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia.
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Abstract
L’Autismo è un disturbo del neurosviluppo, una sindrome in cui ritroviamo anche il Disturbo pervasivo dello Sviluppo non altrimenti specificato (DPS-NAS) e il Disturbo di Asperger. I sintomi, più o meno presenti e con caratteristiche spesso diverse, comprendono difficoltà nella comunicazione verbale e non verbale con problemi nell’interazione sociale, interessi ristretti e comportamenti ripetitivi.
Per un intervento di recupero e una per prognosi migliore sono fondamentali 1) una identificazione precoce e 2) una valutazione tempestiva entro i 18 mesi, ma purtroppo l’età media di una prima diagnosi è di 51 mesi! I bambini autistici di solito si nutrono solo con alcuni alimenti e il loro comportamento è condizionato da disturbi intestinali, accompagnati da intensa disbiosi.
Resta importante considerare per le sue conseguenze negative il ruolo esercitato dai Peptidi alimentari con attività oppioide e dal Microbiota.
Chiusura prima giornata
Apertura seconda giornata
Il ruolo del microbiota intestinale nei disturbi del Neuro-sviluppo: nuovi possibili approcci terapeutici
Dott. Paolo Mainardi - Chimico, ricercatore indipendente, si occupa dal 1981 di neurochimica dell’epilessia, studioso del microbiota intestinale.
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Abstract
Lo sconvolgimento dei ceppi batterici della donna in gravidanza, che arrivano ad essere simili a quelli responsabili della sindrome metabolica, non è tanto dovuto alla aumentata necessità nutrizionale, ma al dover realizzare in 9 mesi tot chilogrammi di tessuti del feto. Processo che è portato avanti dalle citochine antinfiammatorie, normalmente utilizzate per ricostruire i tessuti danneggiati o rigenerarli nel processo di morte naturale, l’apoptosi.
La capacità di condurre correttamente questi processi dipende dalla forza del microbiota della donna, ossia dalla sua biodiversità dei ceppi batterici, infatti sempre più studi dimostrano un'aumentata incidenza di problemi del neurosviluppo in bambini nati da madri con precedenti periodi di infertilità, aborti spontanei come altri problemi incorsi durante la gravidanza, anche a seguito di forti stress.
Durante la vita fetale viene acquisito un campione del microbiota della mamma, che si svilupperà fino a diventare un terzo della popolazione batterica, composto da simbionti permanenti, estremofili, che costituiscono “la zoccolo duro” del microbiota dell’adulto. Questi, durante i famosi primi 1000 giorni di vita, controllano lo sviluppo della biodiversità del microbiota, stimolata soprattutto dal cibo (svezzamento), a cui corrisponde un aumento della forza del microbiota del bambino che arriva ad essere capace di gestire la dieta dell’adulto, ma a cui corrisponde anche la forza con svolge i preziosi ruoli di controllo di tutte le nostre funzioni fisiologiche, e, non da ultimi, i continui processi riparativi che ci mantengono sani riparando continuamente i danni che subiamo dall’ambiente.
Lo stesso nostro DNA subisce 10^21 danni al giorno, senza i preziosi meccanismi di riparazione, gestiti dal microbiota, non esiterebbe l’Uomo sulla Terra.
Le encefaliti autoimmuni: la sindrome PANS-PANDAS
Dott.ssa Elisa Paravati - Neuropsicologa. Specialista in Medicina Psicosomatica. Da cinque anni è referente per l'Associazione PANDAS per la diagnosi e cura della Sindrome Pans-Pandas.
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Abstract
Con la nascita dell’epigenetica è sempre più sviluppata l’idea che siamo, noi a influenzare il comportamento delle nostre cellule attraverso lo stile di vita, l’alimentazione e persino attraverso i pensieri e le emozioni. Il ruolo di una infezione, dell’ambiente o di una disfunzione metabolica, può scatenare, per via autoimmunitaria, problemi psicologici importanti che scardinano alcuni pilastri della teoria psichiatrica su alcune malattie mentali. Infatti, alcune malattie, sembrano essere il frutto di un sistema complesso di fattori che vanno a modificare la struttura interna di alcuni sistemi dell’organismo determinando la creazione della malattia.
Tra gli anni 80-90, la dott. Swedo e i suoi collaboratori, individuarono uno stato di malattia che sembrava essere innescato a seguito di un’infezione dipendente da una varietà di agenti quali: batteri e virus (Streptococco piogene, Varicella, Micoplasma pneumoniae, ecc.); in particolare si occuparono di quelli attivati da Streptococco Beta Emolitico di gruppo A (GAS). Tale sindrome venne etichettata come PANDAS “Pediatric Autoimmune Neuropsychiatric Disorder Associated with A Streptococci” (Disordine Pediatrico Autoimmune associato allo streptococco beta-emolitico di gruppo A) (Swedo et al. 1998).
Nel 2010, a seguito di nuove osservazioni, venne coniato il termine PANS che e’ l’acronimo di Pediatric Acute-Onset Neuropsychiatric Syndrome (Sindrome Neurospichiatrica Pediatrica ad Esordio Acuto), in quanto i ricercatori notarono che il PANDAS era una diagnosi assai restrittiva visto la sintomatologia che stavano osservando. Questa nuova ricerca inserì la PANDAS come sottocategoria della PANS stessa. Le ricerche che si sono susseguite hanno inquadrato il PANS-PANDAS nelle patologie neuroinfiammatorie, dando sempre più credito ad una multifattorialità che potrebbe causare l’insorgenza di detta sindrome, che presenta un quadro neuropsichiatrico di estrema gravità per la qualità della vita.
Sondaggio
Vitamina D e cervello
Dott.ssa Debora Rasio - Medico oncologo nutrizionista, ricercatore presso la Sapienza Università di Roma e Direttore del Master di II livello in Medicina Integrata. Autrice del best seller Mondadori “La Dieta Non Dieta”.
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Vitamina D e cervello - Dott.ssa Rasio
Inquinamento da radiazioni ionizzanti e non ionizzanti
Prof. Ernesto Burgio - Medico Pediatra, esperto di epigenetica e biologia molecolare. Membro di importanti istituti e società scientifiche, tra cui: ECERI - Istituto Europeo di Ricerca su Cancro e Ambiente (Bruxelles); ARTAC - Associazione di Ricerca per Terapie Anticancro (Parigi).
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Abstract
Per valutare gli effetti delle radiazioni ionizzanti sulla salute umana si continua a far uso di modalità di valutazione del rischio e del danno, basate su un modello disegnato dai fisici oltre mezzo secolo fa. Persino i modelli biologici di danno sono basati sulla genetica degli anni cinquanta: la ricerca in biologia molecolare, non solo nel campo dell'epigenetica, ma addirittura della genetica e della genomica degli ultimi trent'anni, non è stata ancora presa in considerazione. Avviene così che, come e più che in altri settori dell’epidemiologia e della cancerogenesi ambientale, pochi si rendano conto del fatto che le vere conseguenze non solo delle situazioni in cui si verifica un’esposizione collettiva o di massa (come nel caso di incidenti rilevanti), ma anche di esposizioni di bassa intensità, ma perduranti nel tempo (come avviene per le popolazioni che risiedono nei dintorni degli impianti nucleari o di riprocessamento del materiale fissile), si manifesteranno dopo decenni e non tanto sugli adulti direttamente esposti, quanto sui loro figli e sulle generazioni future. Cercheremo di dimostrare che soltanto un’analisi più attenta, tanto degli studi sperimentali, che di quelli epidemiologici, consentirebbe di comprendere come l’esposizione per via interna - alimentare, ma anche transplacentare o addirittura transgenerazionale (termini che fanno riferimenti a modalità di esposizione e trasmissione del danno alquanto diverse) - a dosi piccole, ma frequenti di radiazioni ionizzanti, rappresenti un pericolo in genere più consistente e assai più difficile da valutare e dimostrare, rispetto a esposizioni dirette, massive, per via esterna. E vedremo che, tanto in conseguenza delle suddette vie di esposizione, che in conseguenza della loro particolare situazione biologica sono, ancora una volta, gli organismi in via di sviluppo –i bambini e soprattutto embrioni e feti – a subire le conseguenze più gravi. Per quanto concerne il cosiddetto inquinamento elettromagnetico, messo in drammatico rilievo da alcuni ricercatori e caparbiamente negato da altri, dovrebbe essere sufficiente ricordare come fino agli anni ’30 del secolo scorso la parte dello spettro delle onde radio di frequenze superiori ai 30 MHz fosse praticamente vuota; come oggi tale spazio sia estremamente sfruttato e diviso in bande di frequenza che vanno dalle molto basse (VLF) alle estremamente alte (fino a 300 GHz); come queste classificazioni siano fatte sulla base dell'impiego in certi settori piuttosto che in altri e non certo dei rischi per la salute umana.
La letteratura scientifica su questi temi è, inevitabilmente, recente e complessa: se gli studi che dimostrano il probabile nesso tra l'esposizione prolungata a campi magnetici di bassa intensità e bassa frequenza (elettrodotti) e rischio di leucemie, linfomi e tumori cerebrali, in particolare nei bambini, è relativamente copiosa, solo oggi gli studi sugli effetti per la salute umana delle frequenze più alte e in particolare dell’esposizione ai cellulari sono in grado di fornire risultati utili e attendibili. E questo per il semplice fatto che il rischio è legato essenzialmente alla durata dell’esposizione. La classificazione di "possibili cancerogeni" da parte della IARC (2011) è stata basata sull’incremento di rischio per due particolari tipi di tumore cerebrale: gliomi e neurinomi dell’acustico. Molti dei ricercatori che ancora negano la plausibilità biologica dei rischi cancerogeni connessi alle cosiddette piccole dosi di radiazioni non ionizzanti (parte dei raggi ultravioletti, microonde, radiofrequenze, raggi infrarossi e raggi laser) e persino di quelle ionizzanti (quelle essenzialmente legate a decadimento radioattivo o a fissione nucleare) mostrano di non conoscere la recente letteratura scientifica che da almeno un decennio a questa parte ha dimostrato come il maggior pericolo per miliardi di esseri umani derivi proprio dalla esposizione quotidiana a quantità minime, ma sempre più significative, di radiazioni ionizzanti e non-ionizzanti e di molecole xeno-biotiche che hanno, in ultima analisi lo stesso “bersaglio”: il DNA e le altre biomolecole complesse. Queste piccole quantità di informazione alterata e di energia contribuirebbero in pratica a destabilizzare progressivamente l’epigenoma, per così dire il software del DNA e, nel medio lungo termine lo stesso DNA. È stato ad esempio dimostrato che l’esposizione dei nostri tessuti a radiazioni elettro-magnetiche nelle frequenze tipiche dei cellulari interferisce con l’espressione del DNA, inducendo le nostre cellule a produrre proteine dello stress. Eppure incredibilmente molti esperti continuano a sostenere che gli effetti dei cellulari sui tessuti sarebbero esclusivamente termici; che non ci sarebbe plausibilità biologica per dimostrare il nesso tra esposizione e cancro; che gli studi epidemiologici sarebbero ancora incerti. Quello che preoccupa ancor di più è che le cellule inevitabilmente più sensibili all’influsso destabilizzante dei campi elettromagnetici esogeni sono quelle epigeneticamente più plastiche: le cellule staminali (nelle quali possono essere indotti processi pro-cancerogenici) e le cellule embrionarie (che utilizzano già normalmente per proliferare, differenziarsi e migrare campi elettromagnetici endogeni, cioè presenti nell’organismo). Le conseguenza di un’esposizione di queste cellule a quantità e tipologie sempre più estese di campi elettromagnetici esogeni potrebbe influire in modo potenzialmente drammatico sui processi di sviluppo embrio-fetale e contribuire al continuo incremento di patologie neoplastiche della prima infanzia e di disturbi del neurosviluppo. E’ importante sottolineare come non ci sia oggi praticamente alcuna attenzione su questa problematica, evidentemente di enorme rilievo.
Il cervello soffre: dalla vita alla clinica
Prof. Stefano Pallanti - Medico. Psichiatra, neurofisiopatologo - Professore di psichiatria di precisione e terapia d'avanguardia dei disturbi neuropsichiatrici presso l’Università di Firenze. Direttore dell’Istituto di Neuroscienze.
Abstract
Tra gli esercizi spirituali fondamentali vi è la pratica dell’Attenzione, cioè di una vigilanza costante sulla propria vita interiore. Questa disposizione consolida la conoscenza di sé e permette di controllare desideri ed emozioni (P. Hadot).
Però la stessa attenzione può divenire una trappola di fronte all’esperienza del dolore Nel corso degli ultimi anni un numero crescente di studi che indagano le funzioni cognitive in pazienti con dolore cronico sono apparsi in letteratura. La percezione del dolore influenza la plasticità neuronale e le funzioni cognitive, tra cui l’attenzione. Dolore e attenzione si influenzano a vicenda, e la loro interazione è data dall’interconnessione di tre sistemi neurali, ognuno con specifiche funzioni, che possono essere più o meno disfunzionali, con una ricaduta negativa sulla capacità di spostare l’attenzione dallo stimolo doloroso.
La Fibromialgia è uno dei disturbi caratterizzati da dolore cronico che risulta anche caratterizzato dalla presenza di una disfunzione cognitiva chiamata “fibro-fog”, che include problemi di concentrazione, difficoltà di memoria e confusione (Kratz et al 2019). In un nostro studio recente, l’ADHD è stato trovato nel 24.5% di pazienti con fibromialgia, e tale comorbidità risultava associata ad una sintomatologia fibromialgica più severa, ad una maggiore compromissione psicosociale e un maggior uso di oppioidi con rischio di dipendenza da essi. Il trattamento non farmacologico del dolore si basa spesso su interventi che allenano la capacità di spostare l’attenzione da esso, però possono non funzionare in coloro che a causa dell’ADHD non sono in grado di controllare le capacità attentive. I farmaci per l’ADHD hanno dimostrato una efficacia anche nella riduzione della percezione del dolore e ci sono dati a sostegno del loro effetto epigenetico, che li indicherebbe come disease modifiers, modificando l’andamento del disturbo. Altre modalità che si stanno sperimentando includono la combinazione di esercizi di autosuggestione ipnotica e Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS).
Dolore silente: memorie senza ricordo
Prof.ssa Daniela Lucangeli - Psicologa. Professore ordinario di Psicologia dello sviluppo - Università di Padova. Nell'ambito delle sue ricerche si occupa di apprendimento e neurosviluppo<(p>
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Abstract
Le emozioni sono stati mentali e fisiologici associati a modificazioni psicofisiologiche, a stimoli interni o esterni, naturali o appresi; la loro funzione ha una valenza evolutiva e consiste nel rendere più efficace la reazione dell’individuo.
La letteratura scientifica tende a separare il concetto di “emotion” (emozione, dal latino: e- movere= muovere fuori), riferito al l’attivazione fisiologica del corpo, da quello di “feeling” (sentimento, etimologia: dalla parola sentire) utilizzato per indicare l’elaborazione psicologica connessa all’emozione (Berridge, 2018). Questi due aspetti delle emozioni sono comunque intrinsecamente interconnessi. Sarebbe un errore considerare l’attivazione fisiologica come processo esclusivamente inconscio e il processamento psicologico come processo completamente cosciente. La loro attivazione è connessa a scopi a lungo termine all’interno del contesto sociale e sono legate ad aree cerebrali filogeneticamente più evolute quali la corteccia prefrontale mediale (Gilead et al 2016).
Ma cosa è il dolore e chi sente il dolore? Lo sentiamo e percepiamo tutti noi, sappiamo bene che pizzicando una parte del corpo il dolore non viene percepito solo quella parte, ma dal nostro noi Intero. L’informazione del dolore è un flusso in cui tutto l’organismo vivente si mette in azione per rispondere su ciò che sta dolendo, cioè avvertendo che l’intero Sé è messo in pericolo da un certo stimolo. Il dolore è il mezzo per cui il nostro Sé ci informa attraverso l’attivazione di meccanismi biologici, psicologici e sociali che qualcosa ci duole.
Tavola rotonda
La medicina preventiva e predittiva, per il cambiamento di paradigma nei disturbi del neuro-sviluppo - Ernesto Burgio, Teresa Farroni, Stefano Pallanti, Paola Marina Risi, Gino Santini, Antimo Zazzaroni
Chiusura convegno e saluti finali